Inadeguata. Così si può definire secondo Giuseppe Vesi la nuova guida di Gambero Rosso. Inadeguata per vari motivi. “Riporta una recensione del nostro locale che oggi non esiste più, perché da maggio ci siamo spostati in una nuova sede. Qui oggi facciamo un’altra cosa. Abbiamo ampliato la nostra offerta puntando a fornire oltre alla nostra pizza, con clienti che arrivano da noi da tutta Italia, per mangiarla, anche qualcos’altro: ovvero finger di pizza a cui si può abbinare un cocktail o una bevanda. Sono trancetti di pizza, con doppia cottura farciti con creme e salumi. Il costo non è neanche altissimo”.
“La guida di Gambero Rosso parla di un locale che continuerà ad essere presente ancora per un anno sul loro cartaceo, riportando cose che, anche se fosse ancora aperto quel locale, sarebbero ugualmente errate, come la chiusura domenicale che lì non c’era mai stata”. Si impone perciò una riflessione molto profonda sul senso delle guide cartacee per chi fa gastronomia, e ad oggi risultano strumenti inadeguati.
“Se non si riesce ad aggiornare una pubblicazione su un locale che si è evoluto, sulla concezione del mio prodotto, che si è trasformata facendo un ulteriore passo avanti, fornendo parallelamente alla nostra classica pizza finger e loung bar, in un’ottica molto più europea; se si resta negli schemi di un dualismo pizza tradizionale/pizza contemporanea senza valutare altre strade, altri pizzaioli o imprenditori che fanno dei percorsi personalizzati, allora vuol dire che la Guida di Gambero Rosso, e forse anche le altre, oggi sono strumenti inadeguati”.
Ancora una volta sono anche i criteri di valutazione ad essere sotto accusa. “Come è successo per Top 50 anche in questo caso i criteri di valutazione non sono chiari. Se chi fa la tradizionale viene valutato con tre spicchi e io mi ritrovo da anni con un solo spicchio c’è qualcosa che non va. Il mio percorso si è incentrato sulla rivisitazione di una storia familiare centenaria, di cui questa valutazione non sembra tenere conto. Poi ho intrapreso un percorso, un itinerario individuale in cui oggi i riconoscimenti che mi arrivano costantemente dal pubblico – basta venire al locale in qualunque giorno per osservare il gradimento della clientela con lunghe liste d’attesa – e anche di tutto questo non sembra che ci sia traccia nelle valutazioni”.
“Se vogliamo parlare di tecnicismi – continua Giuseppe Vesi – il mio impasto è integrale e rispetta la ricetta originale della pizza del 700 quando non esistevano le farine raffinate. Il sapore, la sofficità, la gradevolezza la dicono lunga sul prodotto. I costi sono adeguati e accessibili. Non vendiamo piadine camuffate da pizza, ma giochiamo lo stesso un altro campionato. Certo se poi non si assaggia, se poi non si chiede, non ci si informa allora si che si prendono cantonate”.